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mercoledì 24 febbraio 2010

Cape d'Agde





Cape d'Agde è il più grande villaggio nudista d'Europa e si trova in Francia, non lontanissimo da Marsiglia.
Ecco l'esperienza di una coppia che ci è stata
 Fabrizio ed io, pur avendo avuto parecchi inviti, non ci siamo mai stati.
Preferiamo altre mete autoctone.
Ve le racconterò, ma intanto seguite questa esperienza, potrebbe esservi utile per le prossime vacanze

 
Non so se fosse per verificare quello che , ne raccontava un’amica, che vi aveva passato già una settimana di vacanze con la famiglia, strenuamente rubate al suo lavoro che non offre tregue.
Ma a Cap d’Agde ci siamo andati anche noi.
Orbene, a Cap d’Agde arriviamo dopo l’attraversamento autostradale di mezza Francia sotto il sole torrido, stanchi e sudati ma contenti, sia per quello che abbiamo trascorso, sia per quello che stiamo per trascorrere, sia per il fatto di essere ancora tutti interi. Il programma è semplice: prendere posto al campeggio naturista, posto, manco a dirlo, all’interno del villaggio naturista, spogliarsi, visto che qua sono tutti naturisti, e andarsi a buttare in mare.
Qualcuno di voi si ricorda della Germania Est? Era quel Paese tutto pieno di comunisti che parlavano tedesco, in cui era difficilissimo entrare e da cui era difficilissimo uscire. Io ci andai, perché volevo onorare la tomba di Bach, il mio musicista preferito, e ricordo ancora la trafila folle di visti e timbri sui passaporti, stazioni di polizia ed impiegati più o meno cafoni e scazzati. In fin dei conti però era una bella soddisfazione, alla fine, essere riusciti a sbrogliare la matassa della socialburocrazia, oltre tutto con gente che non parlava una sola parola di italiano, né di inglese (ma questo non era un problema, visto che manco io lo parlavo) col rischio costante di sbagliare qualcosa e finire prima in galera e poi espulso con infamia; altro che Avventure nel mondo, quello sì che era survival!
Beh, qui è stato appena appena un po’ meno impegnativo, e gli impiegati, al contrario, si sono dimostrati tutti molto gentili, ma il ricordo di quei giorni lontani mi si è affacciato vivido alla mente. Per prima cosa presentarsi all’ufficio del campeggio, posto al di qua del Muro, per chiedere se c’è posto; poi, con un permesso provvisorio, presentarsi all’ufficio di accettazione del villaggio, posto ancora al di qua del muro; pagare una specie di tassa d’accesso (per andare a Berlino Est erano cinque marchi, qua sono nove euro), farsi registrare (in Francia è rarissimo che ti chiedano i documenti di identità, qui te li chiedono) e poi ottenere l’agognato tesserino magnetico, che ti permetterà di oltrepassare DUE posti di blocco, controllati a vista da guardiani gentilissimi ma con l’aria di gente con cui è meglio non avere discussioni, e accedere, finalmente, alla Terra Promessa, sarebbe a dire il villaggio naturista.
Percorrendo i viali del villaggio in auto, io e Arc-en-Ciel di guardiamo intorno, curiosi, attendendo che tra le villette e i giardini venga fuori qualche tipo nudo (siamo entrambi completamente a digiuno di naturismo, ne abbiamo solo sentito parlare e poco altro; io personalmente non ne ho mai avuto una considerazione troppo elevata, i naturisti mi sono sempre sembrati, a leggerne su libri e riviste, dei tipi che vanno in giro nudi per un malinteso senso di connubio con la natura, ma peraltro totalmente inibiti verso quella che dovrebbe essere la funzione principale della nudità, ovvero quella erotica – guardarsi, eccitarsi, scopare; se siamo venuti qui a Cap d’Agde, è perché sappiamo che qui troveremo anche qualcosa di diverso). Niente di niente: vediamo due ragazze, bellissime, ma vestite. Poi ecco, finalmente, di spalle, due tipi di mezza età con borse della spesa, completamente nudi, salvo che lui porta scarpe e calzini. La prima reazione è quella di mettersi a ridere. Vabbé, siamo rozzi e buzzurri, ma avremmo voluto vedere voi al nostro posto!
Il gentilissimo guardione, peraltro completamente vestito, all’ingresso del campeggio dall’altisonante nome di "Village Hélio-marin René Oltra", ci dice ci parcheggiare all’esterno e di presentarci a piedi alla reception. Qui, in un ambiente asettico e con aria condizionata a palla, gentilissime impiegate in camice bianco, tipo infermiere, ci assegnano un posto, una piazzola ombreggiata dall’altro lato del campeggio, e ci danno bracciali di riconoscimento (che appaiamo a quelli che ci portiamo da Gennetines e che, per motivi sentimentali, non abbiamo avuto il coraggio di toglierci) e tesserino magnetico (un altro). Usciamo di nuovo, recuperiamo l’auto, mostriamo tesserino e bracciali al gentilissimo guardione e finalmente siamo dentro.
Il campeggio è enorme, immenso, molto ben strutturato e ombreggiato. La popolazione è costituita quasi solo da tedeschi e olandesi, qualche francese, quasi nessun italiano. Ma la cosa più curiosa, e che non c’entra niente col naturismo, è il totale artificio con cui sono state allestite le roulottes e le motorhomes degli "stanziali", quelli che pagano il posto tutto l’anno e lo trasformano in un micro-villino con giardino. Luci di Natale lampeggianti che si attorcigliano agli alberi, nanetti di terracotta, giardinetti veri, all’inglese, o di plastica, portali e cancelletti pure di plastica, il tutto di un kitsch molto nordico, rendono la situazione decisamente surreale, ma tutto sommato divertente. Unico difetto i bagni, non proprio pulitissimi e sprovvisti di carta igienica (che anche non pulirsi il culo faccia parte dell’etica naturista?) Un’altra cosa che fa strano, è il fatto che tutto il personale del campeggio e del villaggio sia vestito; essere nudi, mentre chi ti accudisce e chi ti controlla è vestito, dà la strana impressione di essere animali messi sotto studio da solerti etologi, o galeotti di un campo correzionale dell’Alabama; ma è solo un’impressione fuggevole.
Vabbé, tanto ormai siamo finalmente dentro. Montiamo in fretta la tenda o quello che rimane di essa, dopo le trombe d’aria di Gennetines; e, dopo aver ricevuto le istruzioni sulla via per il mare da parte di una gentile signora tutta nuda, ci spogliamo (finalmente, e senza troppa vergogna) e corriamo a buttarci in acqua!
Ah, la spiaggia è proprio bellissima. Lunga, di sabbia fine, come piace a me; piena di conchiglie. L’acqua è caldissima e limpida, ci si può camminare dentro per ore senza pestare ricci o altre bestiacce schifose o scivolare su alghe o ferirsi su scogli. La sorpresa, comunque, è che da nudi si sta bene, benissimo; avere l’affare libero all’aria o nell’acqua è proprio piacevole, e non dover lottare con costumi bagnati, sabbia che si infila nei vestiti e quant’altro è tutta fatica risparmiata. Giochiamo nell’acqua con le onde per un sacco di tempo, come bambini (e senza mamme che ti urlano di uscire perché è troppo tempo che sei dentro). Tutto sommato, poi, la nudità completa in spiaggia (l’unico posto dove sia realmente obbligatoria nel villaggio, anche se non è chiaro chi debba far rispettare l’obbligo) non è poi niente di strano per nessuno, in fin dei conti. C’è molta gente (ma non moltissima), soprattutto coppie e famiglie con bambini. Si vedono corpi di tutti i tipi, e qui bisogna farci l’occhio, dato che, diseducati come siamo da immagini di modelle e modelli su pubblicità e riviste tipo Max e simili, quelli non proprio perfetti o giovanili sono un po’ una sorpresa (ci sono anche molte persone menomate o handicappate, per i quali probabilmente il naturismo è un mezzo per accettare il proprio handicap). Ma ciò che colpisce di più sono i gioielli "segreti", ovvero il piercing; un po’ ovunque si manifestano tracce, sotto questo profilo, di un gustoso esibizionismo. Vediamo uomini e donne con capezzoli, peni, scroti, ombelichi perforati, da cui talvolta pendono anche delle catenelle; io mi eccito assai a guardare i piercing ai seni, cosa che notoriamente mi fa impazzire, un po’ meno a guardare le loro legittime proprietarie, che spesso li portano con un’aria decisamente inconsapevole. Nel senso che il piercing alle parti sessuali ha un significato erotico ben preciso, di sensibilizzazione propria o di eccitazione altrui; il rischio invece, in questo contesto, è che la cosa venga esibita, più che come una scelta di trasformazione irreversibile in senso erotico del proprio corpo, come un gesto alla moda, allo stesso modo con cui, un paio d’anni fa, si era diffusa la moda delle cavigliere, e tutte le donne le portavano come fossero gioielli qualsiasi ignorando quello che è il loro significato simbolico reale, che è di sottomissione o di disponibilità alla sottomissione. Arc-en-Ciel, da parte sua, si fa una cultura in termini di pesi e misure. Ma quello che più conta è che ci stiamo divertendo da pazzi.
A sera, dopo cena, rivestiti, andiamo a fare un giro nel villaggio, fuori dal campeggio. Sono già le 23, chiediamo alla guardia del campeggio se i negozi sono ancora aperti, e lui ci risponde: solo le boutiques. Ora, è già abbastanza paradossale che, in un posto in cui si va per stare nudi, i negozi aperti tutta la notte sono quelli che vengono vestiti; la cosa peraltro si spiega nel momento in cui si verifica che tutti i negozi in questione sono sostanziamente dei sex-shop, che vendono abbigliamenti che nessuno potrebbe permettersi di portare per strada in una qualsiasi città senza essere arrestato, violentato, o nell’ordine arrestato e poi violentato. Peccato per la struttura del villaggio, in cui, tolte le villette dell’Helio-Village, immerse nel verde, impera il cemento armato e i residence a schiera, nei cui scantinati ci sono i centri commerciali; ma comunque, la situazione è tutto sommato piacevole e rilassata. Torneremo qui anche nei giorni successivi, per far spese; e in effetti forse è questa la zona più interessante di tutta Cap d’Agde, dove – chiudendo gli occhi sull’architettura catastrofica - si può vivere il senso leggermente assurdo di vedere insieme, fianco a fianco nei negozi, gente nuda, parzialmente nuda o del tutto vestita (tranne le commesse, che sono sempre vestite – ed è un peccato, perché spesso sono molto belle); oppure, ed è il massimo, gente vestita con i vestiti surreali che si vedono nelle "boutiques", vestitini di rete senza niente sotto, scarpe con zeppe di trenta centimetri, bracciali e gorgiere borchiate, e quant’altro. Si respira, in sostanza, un’aria del tutto diversa da quella del campeggio, che forse è più affine al senso originario (che piaccia o no) del "naturismo"; qui il concetto che impera è l’artificio, al fine di vedere e farsi vedere.
In apparenza sembra che ci siano meno ipocrisie e perbenismi di quelli che imperano nelle nostre città; qui a Cap d’Agde una camicetta trasparente viene veramente indossata senza niente sotto, come deve essere, e non, come succede nelle vie della nostra vita quotidiana, con il reggiseno, e se poi fai notare la cosa all’amica che la indossa, lei ti risponde "sì, figurati", come se fosse la tua idea ad essere assurda, e non il suo abbigliamento. La cosa, poi, si manifesta a tutta forza soprattutto la sera, quando ciò che si vede diventa veramente una nuvola informe da cui sprizzano raggi casuali di eccitante e di grottesco, di divertente e di avvilente. Nel senso che a volte sembra che questo volersi divertire eroticamente possa diventare una forzatura; vedi coppie, magari già di parecchio avanti con gli anni, in cui lei è vestita solo con un abitino di rete, ma la cui faccia (e pure quella di lui, magari) non esprime altro che noia e senso di scazzo, come in una foto di Diane Arbus. O gente che si mette addosso abiti (?) di un certo genere perché lo fanno tutti, senza interrogarsi minimamente sul fatto se quel tipo d’abito è lo strumento giusto per veicolare il proprio, specifico, personale, individuale, esclusivo senso dell’erotismo. Oppure la folla che si affolla attorno al balcone di un locale dove alcune lap-dancer si scatenano viene resecata da un gruppo di sessantenni tipo in gita aziendale che fanno il trenino, salvo che l’aderenza reciproca, anziché con le mani sulle spalle, avviene più in basso, in zone dove le mutande sono superflue. (Avevano comunque l’aria di divertirsi. Boh, sarà…) Oppure un locale, in cui siamo finiti dentro quasi per sbaglio, dove le poche coppie, visibilissimamente a disagio, venivano guardate con aria libidinosa da alcuni gnomi cattivi, vestiti solo di un asciugamano legato alla vita, pronti a cogliere le briciole di lascivo che le coppie avrebbero fatto cadere dalla loro passione (ma non cadeva loro niente, evidentemente non a caso).
Ma abbiamo visto anche cose belle, e tante. Ad esempio una deliziosa brunetta di lingua spagnola, vestita solo di un piccolo pareo in vita e dai seni piccoli e perfetti, che in un negozio provava e riprovava svariate scarpe dai tacchi alti, sotto lo sguardo, assurdamente annoiato, del suo uomo, e noi ce la siamo bevuta con gli occhi per tutto il tempo in cui è stata lì. O una ragazza bendata, condotta per mano da due uomini lungo le scale di Heliopolis, il residence più importante di Cap d’Agde, di forma semicircolare; il gruppo ha casualmente incrociato sulle scale un altro gruppo, due uomini e una ragazza, e questa ha lungamente baciato ed accarezzato quella bendata, prima che i tre riprendessero il loro cammino verso una notte probabilmente infuocata. (Chissà se i due gruppi si conoscevano, o se è stato un incontro casuale). O la luce negli occhi delle coppie, etero o omo che fossero, che veramente traevano una gioia sincera e pulita dal loro gioco erotico. O le numerose ragazze splendide, probabilmente pornostar o qualcosa del genere, che bevevano champagne e stavano bene sulla terrazza di un bar, come se la loro bellezza e la loro perfezione fosse di questa terra e non di qualche ultramondo. (Poco dopo, un paio di francesi dall’aria araba ci hanno detto che c’era anche Rocco Siffredi; non vi dico, io sono volato sperando di poter vedere di persona il mio attore preferito, ma di lui nessuna traccia, forse era andato via, forse non c’era mai stato, peccato).
Insomma, a Cap d’Agde ci siamo divertiti. C’è di tutto e di più. "Naturismo" (non natura, che è un’altra cosa) e artificio. Bellezza e decadenza. Erotismo e lascivia. Ci si può esaltare di verità guardando una pornostar negli occhi, e avvilire di nausea e dolore meditando l’insulto del tempo che passa. Assolutamente consigliato a chi ha gli occhi e gli piace usarli, o a chi piace essere accarezzato, non necessariamente da mani e pelle e sguardi, ma anche solo dal sole e dall’acqua (finalmente, basta con gli antiestetici segni dei costumi). Resta solo il dubbio sul perché, per poter prendere il sole nudi e/o porcheggiare pubblicamente, bisogna proteggersi con un sistema poliziesco stile ex Germania Est.
Noi ci torneremo, comunque.

Noi ci torneremo, comunque.
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